Immersi in una struttura di sistemi complessa e infinita, fatta individui liberi di muoversi nel loro pensare, sentire e agire nelle relazioni con gli altri, veniamo generati come sistemi biologicamente e psicologicamente investiti dalla richiesta di rimanere in vita.
L’individuo, gettato nel mondo attraverso le relazioni primarie, secondarie, terziarie e cosi via a seconda del grado di prossimità della relazione, si struttura per tentativi ed errori in sistemi di strategie per la sopravvivenza, un sistema per ogni relazione che sperimenta. Un sistema di strategie per la sopravvivenza si crea in risposta alla sincronicità di tutti i sistemi cui l’individuo è stato, è e in parte sarà in relazione.
Quest’ottica richiede al pensiero di stare in una condizione di incertezza e a volte perfino di vuoto di definizione rispetto all’identità e alla relazione: per elaborare strategie sempre più adattive di sopravvivenza nella relazione con l’altro è imprenscindile il vissuto della morte del sé, pur anche solo fantasticato. L’evoluzione dei sistemi permette di incorporare desideri e paure che costituiscono l’immaginario individuale e collettivo non solo estendendo ma creando, spesso, nuove corporeità.
Questo sguardo terzo rappresenta la possibilità di cogliere la rottura del quotidiano da una distanza di sicurezza. L’immagine di una creatura di una bruttezza ripugnate, terribile, orrenda che provoca un sussulto profondo nel cuore, non si limita a percorrere regioni inesplorate ma affronta l’inconosciuto per eccellenza, il principio della vita.
“un orrore e un disgusto soffocanti mi opprimevano il cuore” osservando “il miserabile mostro che avevo creato”, “con quegli occhi acquosi, quasi dello stesso colore delle orbite bianche e spente che li contenevano, e con quella pelle avvizzita, e quelle labbra nere e tirate” (Shelley, 1818: 70, 69).
Un corpo assemblato con pezzi di cadaveri, dalle personalità fra le più terribili, attraverso un commercio con il-già-morto, con membra destinate alla putrescenza, con tutto ciò che si era relegato fuori da sé, nei cimiteri lontani dal centro delle proprie attività.
Il dolore dato da questa nuova corporeità è orfano, non ha l’aiuto di un pensiero che riesca a collegare i vari elementi che i sensi e l’ interiorità del presente percepiscono, ne ha la possibilità, dunque, di comunicarlo.
La corporeità condensata attraverso il mostro di Frankeistein incoraggia il cervello a considerare bisogni e desideri più ampi, predisponendo l’individuo ad affrontare profondi mutamenti personali e sociali per poter rispondere alla nuova nascita interiore.
Un evento che produrrà nuovi significati, nuovi linguaggi, nuovi modi di stare in relazione ma soprattutto che si guadagnerà il riconoscimento e la comprensione di un’ umanità che può e deve essere trovata anche là, dove il ripugnante che emerge come ombra delle nostre creazioni, fa la sua comparsa.
Dr.ssa Rita Ghezzi